Master of Tales è il primo gioco di società dedicato alla scrittura creativa - Master of Tales is the first game dedicated to creative writing

24.1.19

Come il maestrale



(una storia realizzata con le carte di Master of Tales)
All'inizio fu una folata di vento. Solitaria. Senza forza. I passeri neanche aprirono le ali. C’era il sole, e quella sensazione di calore tipica delle prime timide giornate primaverili. Il mare brillava piatto, i gabbiani volteggiavano al largo, si radunavano sopra le secche e vicino le vele spiegate. Qualcuno stava tentando la fortuna dalla darsena, lanciava la lenza lontano e lasciava fare alla debole corrente marina.
Io scrutavo il cielo con il tabacco in mano e la cartina nell'altra. Non che ci fosse niente di particolare nel cielo. Mi capita spesso di fissare un punto in alto, una nuvola, un gabbiano, la scia di un aereo. Niente d’importante, semplicemente per non incrociare sguardi.
Una seconda raffica di vento quasi mi portò via il cappello, feci giusto in tempo a portare una mano sulla testa e calarlo sugli occhi. Colto alla sprovvista lasciai cadere sul marciapiede il tabacco. M’inginocchiai per recuperarlo, è giunto il maestrale, pensai. Qualcuno si fermò vicino a me, sollevai lo sguardo ed era lei. Era giunta col maestrale.
Si poteva pensare di tutta quella folla che mi veniva incontro, che fosse giunta col maestrale. È naturale, sempre c’è qualcuno che arriva e sembra che lo porti il maestrale, e sempre c’è qualcuno che giunge proprio quando il vento s’attenua. E allo stesso modo c’è qualcuno che se ne va e sembra che lasci il posto al maestrale, oppure che il vento se lo porti via.
E comunque, lei e il maestrale erano giunti assieme. Lui, il maestrale, si presentò con un’aria sostenuta, con la boria di chi viene a reclamare qualcosa di suo, del resto questa è la sua terra prediletta. Lei imprigionò i miei pensieri nel fondo dei suoi grandi occhi scuri.
Questo avevano in comune, entrambi possedevano quel dono speciale di attirare le persone, di vincolarle, di costringerle al loro volere.
Forse accade solo a me di perdere la volontà quando soffia il maestrale, e di ritrovarmi in balia dei suoi capricci, come una ragnatela che il vento scuote a piacimento, che trascina, schiaccia contro il muro, solleva e sbatte incessantemente.
Lei aveva quello stesso potere. O magari erano solo i suoi occhi grandi e neri ad averlo. Se avessi trovato la forza di distogliere il mio sguardo dal suo, forse, ma dico forse, sarei riuscito a oppormi, avrei potuto sottrarmi al suo giogo, proseguire a non fare niente senza il timore d’inchiodarmi su un pensiero. Forse avrei ricominciato a fissare la nuvola, o il gabbiano o qualsiasi altra cosa che si librava nell'aria. E invece lei e il maestrale mi rapirono il respiro tanto che potrei giurare che se mi fossi opposto al loro disegno, non avrei avuto più la forza di respirare.
Probabilmente né lei né il maestrale sono consapevoli del loro potere. È nella loro natura soggiogare e sopraffare, con questi poteri ci si nasce.
E così gli alberi cominciarono a scrollarsi di dosso le foglie morte, i vecchi nidi e i rami già secchi, i gabbiani tornarono a riva, il pescatore ritirò le lenze, i legni ammainarono le vele, i drappi sui pennoni si tesero e i fiori cominciarono a perdere i petali più esposti, che danzando nell'aria ricordavano farfalle senz'anima.
Lei sorrise, mi strinse a sé e mi baciò sulla guancia. Io chiusi istintivamente gli occhi, come quando ci si espone al vento e ai pollini che trascina, alla sabbia, alla polvere, ai petali dei fiori. Socchiusi le palpebre e l’immagine che s’impresse nella mente fu quella dei suoi grandi occhi scuri, nei quali già presagivo d’essermi perso. Cercai un’immagine che sostituisse quella, nella speranza di evitare il giogo, e si compose nel buio la scena d’un cielo che s’abbassava piegando la schiena sotto il peso di enormi nuvole di piombo. Quando riaprii gli occhi, la sua guancia ancora sfiorava la mia, e il cielo davvero s’era lasciato vincere da nuvole scure.
Sapevo di non avere difese, ma ero lì per lei. Sperai che almeno cessasse il maestrale, e invece rimase lì, a giocare col suo vestitino leggero, e io mi sentii definitivamente perso, avvolto nella ragnatela del suo sorriso. (G. C.)

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